Il rinnovato interesse pubblico per le esigenze ambientali globali | Filodiritto

2021-11-22 14:03:20 By : Mr. David Zhao

Dagli anni '80, l'Unione Europea ha mostrato una particolare sensibilità al tema dell'impatto negativo dei rifiuti sull'ambiente. Diversi sono stati gli interventi della Comunità, ora Unione, al riguardo. I più rilevanti sono individuati nella Dir. 94/62/CE, 2000/59/CE 2008/98/CE, UE 2015/720 e Dir. UE 2019/904.

1.1. Plastica oggi e danno ambientale

1.2. Dalla "strategia" europea sulla plastica alla "direttiva" europea per la riduzione dell'impatto sull'ambiente dei rifiuti di plastica

Gli anni '80 hanno consacrato la plastica come nuova materia prima. Gli usi sono innumerevoli e la larga diffusione è dovuta al basso costo, alla leggerezza, alle proprietà isolanti, alle proprietà adesive, alla resistenza agli agenti atmosferici, chimici e meccanici, alla facilità di lavorazione e colorazione. In Italia i principali settori di utilizzo della plastica sono l'imballaggio, che da solo assorbe circa il 35% dell'intero consumo, l'edilizia (13,5%), l'agricoltura (7%) e l'automotive e l'elettronica. L'aumento dei consumi e della diffusione hanno portato allo scoperto il problema dello smaltimento in maniera pressante. Alcuni tipi di utilizzo della plastica possono essere suddivisi in gruppi di prodotti.

I polimeri più utilizzati sono:

- cloruro di polivinile (PVC), utilizzato in molti settori grazie alle caratteristiche di rigidità, resistenza agli urti, leggerezza e flessibilità. Difficilmente infiammabile, è idrorepellente e un buon conduttore di elettricità. Viene utilizzato per la fabbricazione di tubi, valvole, contenitori e rivestimenti isolanti (industria elettrotecnica e chimica), per la costruzione di piani di tavoli, serrande, tubi per grondaie (in costruzione), per la produzione di sedili per auto, carrozzerie ferroviarie, giocattoli , giubbotti di salvataggio, bambole, stivali, impermeabili. Costituisce circa il 20% dei rifiuti plastici;

- polipropilene (PP), con maggiore rigidità e durezza, resistente all'abrasione e al calore, ha ottime caratteristiche dielettriche e di isolamento. I settori di utilizzo sono estremamente vari: articoli sanitari, casalinghi, elettrodomestici, giocattoli, articoli sportivi, industria automobilistica;

- il polietilene (PE), a bassa densità (LDPE) o ad alta densità (HDPE), è caratterizzato da bassi costi, facilità di lavorazione, tenacità e flessibilità, assenza di odore e tossicità, trasparenza. Viene utilizzato per produrre la maggior parte dei sacchi e sacchi della spazzatura (9 miliardi all'anno, nel 2020 in Italia), film e teloni per uso agricolo, industriale, edilizia e imballaggi, tubi e profili isolanti, tappi (LDPE); flaconi e flaconi per detersivi, giocattoli, casalinghi, pellicole per imballaggio (HDPE);

- polietilene tereftalato (PET), caratterizzato da purezza, solidità, leggerezza, impermeabilità all'anidride carbonica e per queste proprietà è oggi particolarmente utilizzato, oltre che nel settore dell'imballaggio per alimenti e cosmetici e nella produzione di tessuti, per la produzione di bottiglie per acqua minerale o per bevande. Insieme al polipropilene costituiscono oltre il 60% dei rifiuti plastici;

- polistirene, o poliestere cristallizzabile (PS), utilizzato principalmente nella produzione di teglie per cibi precotti da utilizzare nel congelamento e nei forni a microonde o in quelli tradizionali (infatti è resistente al calore da -40°C a 220° C), nella produzione di bicchieri e piatti, coppe di gelato e yogurt, e, nella forma "espansa", per il confezionamento di oggetti. Costituisce il 5% dei rifiuti plastici;

- politetrafluoroetilene (teflon), utilizzato nei settori meccanico, elettrico e chimico, per tutte le applicazioni dove sono richieste buone proprietà elettriche e resistenza agli agenti chimici e alla temperatura (5% dei rifiuti plastici).

Occorre citare le cosiddette “microplastiche”, ovvero quei frammenti plastici che secondo la definizione della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) hanno una dimensione inferiore a 5 millimetri: si stima che il 2-5% di tutta la plastica prodotta finisce negli oceani, di cui gran parte sotto forma di microplastiche.

Più precisamente, l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) definisce:

- microplastiche: particelle di dimensione compresa tra 0,1 e 5.000 micrometri (µm), ovvero 5 millimetri,

- particelle nanoplastiche che misurano da 0,001 a 0,1 µm (cioè da 1 a 100 nanometri).

Il termine "microplastica" è stato coniato nel 2004 da Richard Thompson, oceanografo dell'Università di Plymouth, per descrivere i miliardi di minuscoli frammenti di plastica che risultano dalla rottura di plastiche più grandi o che sono stati deliberatamente creati per l'uso in prodotti commerciali. . Come sottolineato dall'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), infatti, mentre i frammenti di microplastica possono formarsi accidentalmente in seguito al deterioramento di pezzi di plastica più grandi, compresi i tessuti sintetici - in seguito all'esposizione alla luce e al calore, all'azione dell'acqua e allo sfregamento - le microplastiche invece possono essere fabbricate intenzionalmente e aggiunte a determinati prodotti per uno scopo specifico (ad esempio, granuli esfolianti negli omonimi preparati per il corpo e per il viso, vari tipi di cosmetici, vernici, prodotti dell'industria petrolifera e del gas nonché per sabbiatura abrasiva, ecc.).

Con l'approvazione definitiva e successiva pubblicazione in GUUE della Direttiva UE 2019/904 del 5 giugno 2019 (la cosiddetta direttiva SUP, plastiche monouso), che vieta alcuni prodotti in plastica monouso (di cui l'Italia è il maggior produttore in Europa) e che devono essere recepite dagli Stati membri entro il 3 luglio 2021, entra nel vivo la guerra dichiarata dall'UE all'inquinamento, in particolare all'inquinamento marino, causato dalla dispersione dei rifiuti plastici nell'ambiente.

Questa è una risposta concreta per evitare che i nostri fiumi e mari siano sempre più pieni di residui plastici, di varie forme e dimensioni, persistenti e spesso con effetti tossici e nocivi, con la conseguenza non solo estetica di far apparire le spiagge degradate. e corsi d'acqua, ma piuttosto quello più preoccupante di mettere in pericolo la sussistenza degli ecosistemi marini e della biodiversità, di penetrare nella catena alimentare fino ai nostri piatti, minacciando la stessa salute umana. In un circolo vizioso che vede restituire al mittente quella che era stata (ed è) una delle più formidabili creazioni del genio umano, la favolosa plastica dalle mille forme e proprietà si è trasformata nei rifiuti perniciosi di cui non possiamo più liberarci dopo averlo usato. nei modi più diversi, divenendo così uno dei principali nemici dell'uomo nell'ambito delle minacce ambientali da contrastare, accanto ai cambiamenti climatici in questo senso, almeno nella percezione dell'opinione pubblica.

Un improvviso risveglio dell'interesse delle persone per l'ambiente, se si vuole, che ha seguito una lunga e preoccupante fase di sonno REM durata alcuni anni, fenomeni le cui cause - cosa ha portato a questo sonno di coscienze e al loro improvviso risveglio - molti mettono in discussione stessi, per capire come un argomento relegato ai margini della cronaca possa quasi improvvisamente guadagnarsi le pagine dei giornali o sempre più spazi in televisione dopo un silenzio e un disinteresse (salvo qualche eccezione) durato anni, nonostante ripetute allarmi e molteplici studi di enti di ricerca, approfondimenti e politiche strategiche.

Di seguito, cercheremo di inquadrare ciascuno dei temi citati in un quadro ampio, nel quale si terrà conto anche della nuova "ondata ambientale" incentrata principalmente sulla lotta ai cambiamenti climatici per poi passare a questa nuova crociata contro rifiuti plastici, per capire se quest'ultimi possono, o addirittura dovrebbero, trasformarsi in una vera e propria guerra contro la plastica, cioè contro il materiale stesso e non solo il suo rifiuto, facendo in modo che, con un neologismo che, ai tempi del "petaloso ", mi permetto di proporre, il cambio di rotta da intraprendere necessariamente nel campo della gestione dei rifiuti a livello globale deve richiedere addirittura una "plastexit", una "uscita dalla plastica" intesa non come una mera lotta a testa bassa per la diffusione dell'uso della plastica nella produzione di beni e oggetti, di per sé antistorico e per certi versi irraggiungibile, almeno allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche e per ragioni di politica economica, ma prima di tutto come lotta al dispersione di rifiuti plastici nell'ambiente, sia derivanti da beni monouso che multiuso. In questo contesto, questo platexit deve includere non solo progetti volti a combattere l'inquinamento, ma anche lo studio e la ricerca di nuovi materiali plastici alternativi a quelli attuali, che non abbiano lo stesso impatto sull'ambiente, una volta giunti al termine del loro vita utile, e che sono più facilmente recuperabili e riciclabili.

Solo in questi termini, oggigiorno, ci sembra possibile realizzare concretamente questo "plastexit", una "uscita" dalla produzione e dal consumo praticabile, dal punto di vista tecnologico, e sostenibile, dal punto di vista economico. Ovviamente le misure da adottare devono riguardare vari livelli, non ultimo quello legislativo e come vedremo e come in parte detto, sulla questione plastica i legislatori italiani ed europei stanno già lavorando alacremente.

Negli ultimi due anni, in Italia e nel mondo, le sorti del pianeta sembrano essere diventate una delle maggiori preoccupazioni delle persone, dopo un periodo in cui si è registrato un calo del livello di sensibilità della popolazione nei confronti dell'ambiente fattori di rischio che in precedenza, avevano conquistato e tenuto alla ribalta dei mass media come l'effetto serra o il buco nell'ozono.

In particolare, il cambiamento climatico e, subito dopo, l'inquinamento ambientale, in particolare quello causato dai materiali plastici, sembrano essere tornati all'attenzione dell'opinione pubblica.

La comunicazione COM (2018) 28 final traccia dapprima un quadro documentato e inquietante della formazione di rifiuti plastici prodotti annualmente in Europa, nell'ordine di 28,5 milioni di tonnellate, di cui meno del 30% viene raccolto per il riciclaggio, mentre il resto è in parte destinati allo smaltimento (mediante incenerimento o discarica), ma in gran parte dispersi nell'ambiente, senza essere conferiti ad alcun sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti; questo è particolarmente vero per i rifiuti immessi nell'ambiente marino, dove si stima che finiscano tra le 150.000 e le 500.000 tonnellate all'anno, solo per quanto riguarda i mari e gli oceani che bagnano gli Stati dell'UE.

Come dimostrato dall'analisi tipologica dei rifiuti incagliati, nella frazione di rifiuti plastici dispersi in mare, che quantitativamente rappresentano circa l'80 - 85% del totale dei rifiuti marini, gli "oggetti di plastica usa e getta", anche diversi, giocano un ruolo importante dagli imballaggi , che rappresenta circa il 50%, e i rifiuti di attrezzi da pesca e reti.

Dir. 2019/997/UE, in vigore dal 4 luglio 2019, deve essere attuata dagli Stati membri secondo un calendario dettagliato, che ne implica l'esecutività, per così dire, “a rate”, – secondo quanto previsto dall'art. il Dir. in questione, comportando adempimenti e obblighi sia per gli Stati membri che per i produttori, nei termini di seguito indicati.

Le finalità della “marcatura” sugli imballaggi prevista dalla Direttiva rispondono all'esigenza di informazione immediata ai consumatori finali sulle corrette modalità di gestione dei rifiuti costituiti dai prodotti di cui alla parte D dell'allegato, - ovvero, per il prodotti in questione, le forme di smaltimento dei rifiuti da evitare, - nonché gli effetti negativi derivanti dalla possibile dispersione del prodotto nell'ambiente dopo l'uso, e/o dall'invio di prodotti usa e getta a forme di smaltimento improprie.

Con ciò l'esposizione degli aspetti chiave della Dir. 2019/907/UE si conclude, a seguito della quale si ritiene opportuno proporre brevissime considerazioni finali.

Questa recentissima direttiva europea, emanata in nome di una dichiarata crescente volontà di riconfigurare la gestione dei rifiuti secondo la filosofia dell'economia circolare, recepisce al proprio interno le linee guida espresse dalla "Strategia europea per la plastica nell'economia circolare", di cui nella Comunicazione COM (2018) 28 final del 16 gennaio 2018, è stata accolta con favore dall'ambientalismo militante, che ne sottolinea il ruolo soprattutto sul fronte della dispersione dei rifiuti plastici dall'ambiente marino, tra cui, in primis, contribuisce la linea rifiuti costituiti da prodotti in plastica “usa e getta”, contraddistinti dallo sfortunato “marchio” dell'equazione “Prodotto Usa e getta = Usa e getta”.

Tuttavia, questo assioma rappresenta - almeno in astratto - una situazione nello "stato di cose" che dovrebbe essere corretta con un impegno articolato, piuttosto che preso come punto di partenza immutabile, a meno di soluzioni draconiane a senso unico.

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